FRATELLI E DISABILITA’

 

Già nei primi sei anni dell’infanzia il

piccolo essere fissa la natura e la

tonalità affettiva delle sue relazioni con

le persone del suo sesso e dell’altro

sesso…Le persone in rapporto alle quali

egli fissa in tal modo il proprio tipo di

comportamento sono i suoi genitori e i

suoi fratelli.

Freud, 1914, p. 479

 

 

Il legame fraterno ha la peculiarità di avere una lunga durata: fra i legami familiari è quello che

accompagna di più, nel tempo, ogni fase del ciclo di vita dei soggetti.

Accade così che divenga il primo laboratorio sociale in cui i bambini iniziano a negoziare,

competere, allearsi e comprendersi, sostenersi.

Appare inoltre più simile alle relazioni amicali, legato cioè maggiormente alla volontarietà e alle

scelte.

Nelle famiglie con un soggetto disabile, il figlio normodotato spesso vive il fratello come “diverso”.

Coglie la differenza osservandolo e confrontandolo con sé, ma spesso non sa dare nomi precisi, né

adeguati a questa discrepanza.

In molti casi il fratello minore, crescendo, si troverà a prendersi cura di colui che avrebbe dovuto

essere il suo protettore e il suo modello da imitare (se il soggetto con handicap è più grande).

In assenza di spiegazioni plausibili e rassicuranti, il bambino rischia di costruirsi un immagine

distorta del fratello e della situazione.

Questi silenzi genitoriali, spesso creati per tenere distante la situazione del figlio disabile dagli altri

figli, possono creare maggiori problemi. La tristezza, la tensione e le preoccupazioni dei genitori

vengono percepite dai figli che ne chiedono la ragione (alcuni studiosi hanno parlato di specifico

diritto all’informazione per i fratelli).

I fratelli di soggetti con handicap hanno bisogno dell’ammissione della presenza di problemi reali e

concreti nei fratelli, così da non sentirsi esclusi o ingannati; per poter sentirsi partecipi a ciò che

accade in famiglia, per poter comprendere e giustificare i comportamenti del fratello, e per poter

motivare l’assenza del padre e della madre.

Disporre di informazioni permette di evitare la sedimentazione di immagini e vissuti angosciosi.

I vissuti di genitori di figli disabili sono spesso intensi e ambivalenti. Ci sono genitori che evitano di

affrontare un’altra gravidanza, per paura che l’eventuale altro bambino possa nascere “imperfetto”.

Altri, invece, ritengono opportuno mettere al mondo altri figli per garantire sostegno e aiuto al

primogenito, e per risanare la propria ferita interna.(Calzone, D’Andrea, 1996)1.

Al fratello normodotato toccherà spesso il compito di essere il ragazzo dotato, dolce, educato.

Allo stesso modo, i genitori mettono sovente in atto un comportamento per cui tendono a

compensare una minore attenzione dedicata ai figli sani, viziandoli troppo.

Questi diversi tipi di cura alimentano sentimenti di gelosia, che nella relazione con fratelli disabili

sono caratterizzati maggiormente dal nascondimento di questi sentimenti e dallo scontro tra gelosia

e senso di colpa, a causa della percezione di essere “cattivo”, perché è ingiusto e crudele invidiare

un fratello sfortunato.

Vengono infatti spesso ammoniti, nelle loro manifestazioni di gelosia con rimproveri che

sottolineano la situazione sfortunata e di inferiorità del fratello disabile. Proprio a seguito di questi

moniti, essi possono cominciare a nascondere i loro sentimenti e a ritenerli inopportuni.

Bisogna comunque ricordare che moti di gelosia possono essere messi in atto anche da soggetti

disabili.

Una causa molto grande di stress per i fratelli di persone disabili, specie quando sono piccoli, è il

timore del fallimento, la paura di deludere le aspettative genitoriali, e per questo di essere cacciati

da casa.

Con la crescita cognitiva, vi è di solito la perdita della paura di diventare come il fratello, magari

per colpa di una parola o di una bugia di troppo.

I bambini, appena percepiscono la differenza tra le loro prestazioni e quelle del fratello con

handicap, cercano di darsi una spiegazione della condizione di disabilità .

Molti coltivano per un lungo periodo la convinzione di essere stati gli artefici della “malattia” del

fratello, per aver desiderato che non ci fosse o che morisse, così da non dover condividere le cure

dei genitori.

Nel caso di genitori particolarmente tesi e provati dalle cure richieste dal figlio disabile, spesso i

bambini si percepiscono responsabili della situazione e reagiscono diventando estremamente buoni

o ubbidienti.

Frequentemente in queste famiglie si verificano situazioni particolari, in cui l’attenzione per il

soggetto con disabilità richiede l’allontanamento del fratello normodotato (da nonni o baby sitter

ecc.). Queste situazioni possono essere percepite come abbandoni.

Quando i genitori soffrono troppo o sono troppo occupati e non in grado di riconoscere e rispondere

ai bisogni del bambino, possono sorgere in questo paure ingiustificate, stati d’ansia, malattie

psicosomatiche, stati depressivi e regressioni comportamentali.

Nel caso in cui venga collocato fuori casa il fratello disabile, i bambini “sani” possono provare

intensi sensi di colpa, che li spingono a pensare che se non si comporteranno bene, potrà succedere

anche a loro (Blacher, 1993)2.

Con l’adolescenza, i ragazzi cercano di sottrarsi alle incombenze e il legame fraterno tende ad

affievolirsi, riemergono sentimenti di vergogna e a volte nascono sensi di colpa, in conseguenze alle

lamentele dei genitori.

Alcuni adolescenti, dopo un primo allontanamento, tendono a invertire la rotta e si staccano dal

gruppo dei coetanei, isolandosi, perché spaventati dall’idea dell’ereditarietà del deficit, oppure

perché non riescono a comunicare la loro situazione, o perché si sentono estranei al mondo dei

coetanei.

Qualche ragazzo teme di essere etichettato come “il fratello dell’handicappato”.

Iniziano anche le prime preoccupazioni circa il futuro e compaiono i primi interrogativi che

coinvolgono il fratello disabile: la preoccupazione per l’accettazione da parte di un partner, la

situazione dopo la morte dei genitori.

I fratelli nati dopo un figlio disabile si percepiscono spesso come predestinati al ruolo di caregiver

perché sanno di essere stati messi al mondo anche per questo e il dubbio di essere amati per loro

stessi o perché svolgono bene il ruolo di cura è molto presente nella loro esistenza.

Il lavoro dovrà essere scelto in base ad un reddito elevato, a tempi lunghi da dedicare alla famiglia,

ma soprattutto il partner dovrà essere una persona che accetti e si prenda cura del disabile.

Alcuni ricercatori (Selzer, Greenberg, Krauss, Gordon e Judge, 1997 in Valtolina 2004)3 hanno

messo in evidenza come, l’aspetto più stressante sembra essere la problematica comportamentale e

l’aggressività nel soggetto disabile.

I ricercatori affermano che il comportamento del disabile sia la chiave di lettura per lo sviluppo o il

deterioramento della relazione fraterna. L’irruenza o l’aggressività non dipenderebbe quasi mai

dalla menomazione, quanto dagli stili di interazione che caratterizzano il rapporto con la famiglia.

I fratelli che si trovano a vivere nell’ambito di sistemi familiari altamente conflittuali, sembrano

non riuscire a sviluppare pienamente le proprie potenzialità.

 

Tra gli elementi stressanti che influenzano la sensibilità dei fratelli dei disabili, è emersa la

preoccupazione per l’avvenire, l’idea cioè che in futuro si potranno verificare nuovi problemi,

perché i genitori non potranno più prendersi cura del figlio disabile.

Crescendo, i fratelli imparano ad analizzare gli eventi, in un processo di sviluppo non sempre

lineare. A volte tale sviluppo subisce delle stagnazioni e regressioni e può capitare che gli sforzi

non abbiano sempre aspetti positivi, ma favoriscano a volte emozioni e pensieri negativi.

E’ indispensabile aiutare i fratelli di persone disabili a comprendere meglio le dinamiche familiari, a

riflettere sulla propria identità, ascoltandoli e sostenendoli, con l’obiettivo di favorire il dialogo e

l’interazione con i genitori e il fratello disabile, affinché usino strategie efficaci e non reagiscano

impulsivamente, con troppa aggressività (Valtolina, 2004).

 

 

1 Calzone C., D’Andrea M. (1996) . La scelta di un secondo figlio nella famiglia di un handicap, in Psichiatria

dell’infanzia e dell’adolescenza, 63, pp. 631-640 

2 Blacher, J. (1993). “Sinblings and out-of-home placamento” in Stoneman Z. Berman P.W. (1993), The Effects of

Mental Retardation, Disability and Illness on Sibling Relationship, Paul H. Brookes, Baltimore

3 Valtolina, G. G. (2004). L’altro fratello Franco Angeli, Milano.